Fallimento o errore? Qual è la differenza?

Fallimento o errore? Qual è la differenza?

Fallimento o errore? Qual è la differenza?

Qualche tempo fa parlando di conflitti scrivevo che ogni qual volta ne affrontiamo uno ci ritroviamo a fare i conti con due questioni: la situazione specifica che ha fatto scoppiare la discussione e le emozioni annesse, e su questi aspetti mi focalizzerò anche per parlare di fallimento. Una parola che detestiamo pronunciare e davanti alla quale tremiamo al solo pensiero.

In sessione mi capita spesso di sentire persone, anche molto giovani, utilizzare espressioni quali: “sono un/a fallito/a”, “basta, ho fallito” come se si trattasse di una situazione definitiva, un qualcosa senza rimedio, ecco proprio questo senso di immutabilità assoluta mi spinge a dire la mia sul tema.

Se cerchiamo il significato della parola “fallimento”, scopriamo che è riferita a un errore, a un difetto o a una grave mancanza e che, tra l’altro, la riforma fallimentare del 2017 ha bandito il termine nell’ambito del diritto civile e commerciale. In sostanza scopriamo che è un termine che ha a che fare con cose, o situazioni, ma non si riferisce alle persone. Appiopparlo alle persone, e a noi stessi, è opera nostra e lo facciamo dalla notte dei tempi. Basti pensare che nella Roma del seicento ai falliti si imponeva di circolare con un berretto verde, e nella Repubblica laica di Genova, nello stesso periodo, ai commercianti ambulanti che fallivano veniva rotto il banco su cui avevano esercitato l’attività.

Certo disinstallare dalla nostra testolina questa convinzione così radicato è difficile ma vi lancio una provocazione: se quando le cose vanno bene, parliamo di “successi” mentre quando vanno per il verso sbagliato, parliamo di “fallimenti”… dov’è lo spazio riservato alle “opportunità”, agli “errori” e alle occasioni per “imparare”?

Come superare un momento difficile?

Tre le considerazioni da fare a mio avviso.

1. Il fallimento ha a che fare con qualcosa di statico che finisce oltre il quale non si può andare avanti. Mentre la vita per definizione è intrisa di cambiamento, noi esistiamo nel cambiamento, ecco perché possiamo sempre fare qualcosa per andare avanti. Fosse anche solo chiedersi che cosa abbiamo imparato.

2. Il fallimento ha a che fare con il come ci sentiamo, con la proiezione della nostra sofferenza, del nostro dolore, della nostra delusione o della vergogna rispetto alla situazione e, in ultima analisi, ha a che fare con il ruolo che rivestono gli “altri giudicanti” nella nostra vita, ma questo implica che non sia oggettivo.

3. Si fallisce solo quando si smette di provare.

Se poi ti piace comunque definirti fallito fai pure, ma la domanda non cambia: adesso che vuoi fare? Stare lì a piangerti addosso o cerchiamo di capire da che cosa possiamo ripartire?

Per superare un fallimento occorre un lavoro di settaggio degli obiettivi, delle risorse e delle azioni da intraprendere per agire e rialzarsi. Farlo nel modo corretto ci evita di pianificare “fallimenti”, anziché “successi”. Ecco a che cosa serve un coach.

 

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