Tre cose da fare per migliorare le relazioni professionali

Nell’articolo precedente ti ho parlato di ciò che ostacola la comunicazione efficace in azienda, in particolare ho posto l’attenzione su due aspetti: molto spesso è più importante portare a termine un compito piuttosto che costruire una relazione professionale. Dire vale più che domandare.

Ma che cosa significa in particolare quest’ultima espressione?

Significa che tendiamo a mettere al primo posto l’affermazione di noi e della nostra opinione dimenticando l’obiettivo al quale stiamo lavorando. Provate a pensare, per esempio, a quanti consigli non richiesti diamo e riceviamo. Prima di dare un consiglio ti capita mai di fermati a pensare se il tuo interlocutore ci abbia già pensato o abbia già tentato quella strada? E quando capita a te di ricevere consigli non richiesti, o che rientrano tra le possibilità che hai già scartato perché impraticabili, come reagisci?

Ti metti sulla difensiva e ti innervosisci? O ti senti avvilito? Ecco, è esattamente quello che potrebbe succedere al tuo interlocutore.

Quando un confronto non va come vorremmo, o abbiamo la sensazione che i colleghi o i collaboratori non ci ascoltino, o quando qualcuno trascura di fornirci un’informazione che avrebbe potuto evitare un problema, o peggio quando una discussione degenera in uno scontro verbale offensivo… ci ritroviamo a chiederci che cosa è andato storto o che cosa avremmo potuto fare di diverso.

Qualunque sia il nostro ruolo in azienda ci sono tre cose che possiamo fare per migliorare la comunicazione e le relazioni professionali:

  • Abituarci a “dire” di meno.
  • Imparare a domandare di più e con più umiltà.
  • Iniziare ad ascoltare e riconoscere gli altri.

In che modo fare domande facilita la costruzione di una relazione?

Ciò che domandiamo e il modo in cui lo facciamo ci aiuta a mettere le basi per costruire un rapporto di collaborazione e di fiducia con l’altro, che si tratti di un pari, un sottoposto o un capo. Mettendoci nella condizione di “dire” e quindi nel trasferire informazioni e dare indicazioni all’altro, mettiamo in automatico l’altro in una posizione di inferiorità.

Fare domande, invece, valorizza chi abbiamo di fronte e gli dà un maggiore potere. Equivale a dire al nostro interlocutore che lui ne sa più di noi ed equivale a dedicargli del tempo.

Se tutto ciò è vero, e a tratti ci può quasi sembrare scontato, perché nel quotidiano tutto questo non si verifica? Dopo tutto… Che cosa ci vuole a fare una domanda?

Il punto è che raramente facciamo domande vere, domande utili a costruire la relazione, è più facile che poniamo domande retoriche o domande di verifica sulla preparazione di chi abbiamo di fronte o sulla correttezza della nostra posizione. Le domande, quelle vere e quelle efficaci, sono quelle che Edgar Schein, uno dei massimi esperti mondiali di psicologia sociale e delle organizzazioni, definisce “utili all’umile ricerca di informazioni”.

L’umile ricerca di informazioni è un modo di domandare che implica interesse nei confronti dell’altro, delle informazioni che l’altro ha tra le mani e che potrebbe condividere con noi. Con l’umile ricerca di informazioni ricorriamo a una forma di umiltà qui-e-ora che permette di svolgere ogni attività in modo più efficiente.

Conclusioni

Tutto questo riguarda ognuno di noi, a prescindere dal ruolo ricoperto nell’organigramma aziendale. D’altra parte ognuno detiene tra le proprie mani un potere diverso: c’è quello che deriva dalla posizione, quello legato alla conoscenza, quello strettamene connesso alle relazioni e ce n’è uno personale. Si tratta di capire quale sia il proprio, come attivarlo, ma soprattutto come valorizzarlo per migliorare le relazioni professionali.

Ecco perché la responsabilità di come utilizziamo le parole e di come poniamo le domande è un tema che tocca tutti e non solo chi è al vertice.

 

Troppo complicato da mettere in pratica? Contattami, possiamo lavorarci insieme!