Qual è la tua famiglia realizzativa?

Qual è la tua famiglia realizzativa?

Qual è la tua famiglia realizzativa?

Cara Ilenia,

nel tuo post della scorsa settimana sui concetti di protezione e coraggio, intesi come valori fondanti della figura del leader, hai fatto riferimento alla famiglia.

Il vocabolario italiano declina alcune definizioni del termine famiglia. Tralascio volutamente quelle che fanno riferimento diretto ai vincoli di sangue e di discendenza e trovo: “Gruppo di persone legate da vincoli ideali o affettivi o riconducibili a una stessa fisionomia spirituale o fisica”.

Questa definizione è quasi sovrapponibile a quella di team (squadra): "Gruppo di persone che collaborano a uno stesso lavoro o per uno stesso fine (anche di carattere scientifico o intellettuale)".

Ci aspettiamo che un capo-famiglia agisca con coraggio e (istinto di) protezione verso e per la sua famiglia. Ci aspettiamo che un leader agisca con coraggio e (istinto di) protezione verso e per il suo team.

Lo stesso Daniel Goleman definisce la leadership come la “… capacità di influenzare la gente, e aiutarla a lavorare meglio per raggiungere uno scopo finale in comune” .

Accidenti, Ilenia! Che tentazione! Resisto a stento all’impulso di lanciarmi in ardito parallelo tra la categorizzazione degli stili di leadership definita da Goleman e i modelli degli stili genitoriali (un esempio per tutti quello proposto da Diana Baumrind). Questo è l’antiblog!

Quando ho iniziato (ero una ragazzina ed era il secolo scorso…) a fare teatro ho sperimentato per la prima volta cosa significasse vivere all’interno di un gruppo.

Era bellissimo. I miei compagni erano una parte importante della mia quotidianità e della mia sfera relazionale. Condividevamo un’intimità affettiva e progettuale.

È stato naturale per me all’epoca chiamare il gruppo famiglia! Ed era la mia famiglia del teatro, in cui ogni membro era un importante e imprescindibile tassello.

Al secondo spettacolo ho scoperto che quella magia si ripeteva in ogni nuovo gruppo teatrale di cui entravo a far parte. Non era proprio una ripetizione, ogni volta era diversa perché gli individui erano diversi era il livello della coesione e della produttività che erano paragonabili. Romanticamente credevo che si trattasse di una magia legata al teatro.

La magia consisteva nel lavorare intensamente, stare bene gli uni con gli altri e avere fiducia assoluta nel gruppo.

All'epoca non solo ero completamente a digiuno di management, ma neppure avrei mai immaginato di occuparmi dell'argomento!

Ogni volta era come essere parte di una famiglia e la logica comportamentale era un reale tutti per uno, uno per tutti.

Erano i miei primi anni di vita di adulta, tutti assorbiti dalla passione per le scene. Individui che non si erano mai incontrati prima si riunivano per costruire uno spettacolo ed erano naturalmente organizzati secondo ruoli, compiti e gerarchie definite.

Dal primo incontro all’ultima replica ciascun membro era impegnato a dare il meglio di sé e ad aiutare gli altri a dare il meglio di sé. Il successo dello spettacolo era il solo obiettivo ed era al tempo stesso un obiettivo collettivo e individuale.

A cosa si doveva un tale stato di grazia?

Alla passione? Alla giovinezza e ai suoi alti ideali?

Ho riflettuto a lungo su quale fosse il collante che creava legami estemporanei e così intensi e cosa ci rendeva collaborativi e produttivi. Dove tutti si sarebbero aspettati genio sregolatezza e anarchia, regnava un'ordinata e felice disciplina!

Sono trascorsi molti anni. Ora so che questo fenomeno non è appannaggio esclusivo dell’esperienza teatrale. Molti hanno vissuto queste esperienze di coesione in team creativi. Per me era il teatro. Per altri è stata la squadra di calcio o dello sport praticato, il gruppo di boy-scout, la band musicale…

Mi piace definire questi gruppi come famiglie realizzative.

Cosa rendeva tanto proficuo e piacevole essere parte di una famiglia realizzativa?

La ragione principale è la condivisione di un fine unico comune il cui raggiungimento rappresenta sempre anche un successo individuale.

Più semplicemente, "non lavoravamo per qualcuno, lavoravamo con qualcuno per raggiungere un obiettivo che per tutti aveva un pari valore”.

Rifletto ora a quello che succede in azienda ogni giorno. Quante volte si prova la sensazione che il capo otterrà un beneficio maggiore rispetto a quello riservato al resto del gruppo? Quanto è dannosa per la produttività e per il raggiungimento degli obiettivi questa convinzione?

Per questo vorrei incontrare manager visionari!

Per questo vorrei che fossero sufficientemente autorevoli per indicare la direzione!

Per questo vorrei che il manager valorizzasse i successi del suo gruppo conscio che sono i suoi!

Per questo il manager deve impegnarsi in prima persona ad aiutare i suoi a superare i propri limiti!

E il team? Cosa può fare?

Molte aziende propongono ancora un modello di gestione dividi et impera, generando conflitti e disagio. Un team consapevole può superare questo schema imposto. Un team adulto può proporre e vivere un diverso modello di interazione e, chissà, magari grazie ai risultati ottenuti essere un esempio educativo.

Le famiglie realizzative presenti nelle nostre esperienze offrono spunti efficaci per migliorare la vita quotidiana in ufficio. Analizzare le ragioni del successo e del piacere con cui le ricordiamo offre una potente ispirazione per gestire il nostro apporto al gruppo, quale che sia il nostro ruolo.

E voi? Qual è stata la vostra famiglia realizzativa? Quali insegnamenti è possibile trarre dalla vostra esperienza?

E a te, Ilenia chiedo: quanto assomiglia la nostra collaborazione a una famiglia realizzativa?

A presto

Tutta la Vera Verità per la Vera Verità