Qual è il più grande nemico dell’apprendimento?
Qualche tempo fa un’amica ha scritto questo post: “E dopo La Casa di Carta cosa mai si potrà guardare?”. Ed ecco che il magico potere del passa parola si è innescato, ho cercato di cosa si trattasse e mi sono lasciata stregare anch’io da questa serie TV.
Immagino che l’abbiate vista in tantissimi, se non l’avete fatto: fiondatevi! Ora non starò qui ad analizzarne i motivi del successo - diversi esperti l’hanno già fatto, anche meglio di ciò che potrei fare io - ma ci tengo a condividere due spunti.
Un gesto non è solo un gesto
La Casa di Carta è ricca di simbolismi, nulla è lasciato al caso e questo si coglie fin dai primi minuti del primo episodio. Avete notato l’ossessività del gesto di Raquel Murrillo che annoda i capelli con una matita ogni volta che cerca la concentrazione, ogni volta che il suo lato razionale e pragmatico ha bisogno di emergere? Il tutto in netta contrapposizione ai lunghi capelli lisci che lascia fluire nei momenti in cui si tuffa nella vita e nelle sue emozioni quotidiane, quelle stesse emozioni che ne fanno emergere il lato più fragile. Raquel è la rappresentazione estrema della donna tanto di successo e brillante sul lavoro, quanto disillusa nella sfera privata. Raquel è segnata da una vita difficile - un matrimonio finito molto male, una figlia da crescere e che rischia costantemente di perdere, un ex marito violento e bugiardo - che fa da contraltare a uno spiccato lato romantico che la spinge a gettarsi nelle braccia di uno sconosciuto, in cerca dell’amore vero.
Un nodo tra i capelli per rappresentare austerità, concentrazione, ordine, efficacia, ma anche le connessioni cerebrali, i pensieri veloci come se i capelli fossero l’estensione delle cellule del suo cervello che si attivano e comunicano performando al meglio tanto quanto sono più vicini fra loro. Una specie di super potere che si esaurisce quando la matita non è più lì a tenerli insieme, e badate bene non si tratta di un ferma capelli da donna, ma di una matita, di un oggetto che rimanda alla scrivania, a uno strumento di lavoro.
Cambiare prospettiva
Veniamo al secondo elemento, quello che rappresenta il perno della storia e che acquisisce progressivamente una connotazione sempre più chiara. Mi spiego meglio. (Attenzione: spoilerò, molto poco, ma da qui in avanti lo farò).
La straordinarietà della (non) rapina che metteranno a segno i protagonisti della storia sta nel fatto che non ruberanno nulla a nessuno, perché quello che faranno sarà stampare SOLO nuove banconote. Lo Stato spesso ci fa sentire vessati, schiacciati ed ecco che il colpo nella zecca spagnola diventa l’atto politico di un gruppo di personaggi ai margini della società per via di storie tristi che in parte li assolvono e, per i quali, come dice Il Professore: non si può non fare il tifo, come se fossero il Camerun contro il Brasile. Insomma come sostiene Il Professore, è solo una questione di punti di vista e di contesti.
Naturalmente c’è tutta la storia e la finzione narrativa che amplifica i concetti e i contenuti ma nella parte, finale accettando il discorso del Professore, Raquel è la donna che apre la porta al cambio di prospettiva, allo switch che la mette in condizione di non giudicare basandosi solo sul senso comune del giusto e dello sbagliato. La Mourillo, infatti, fino all’ultimo episodio rappresenta quella parte di noi pronta ad accettare lo status quo, spesso senza esitazioni, senza dubbi, perché convinta che quello in cui stiamo vivendo in fondo non è altro che il «migliore dei mondi possibili»; o talvolta pensiamo anche peggio che sia l’unico possibile, senza opportunità di poterlo cambiare, senza alternative.
Solo quando l’ispettrice cambia punto di vista ed esce dalla sua comfort zone è in grado di andare oltre a quelle maschere e a quelle tute rosse da semplici rapinatori e riesce a vedere dei partigiani antisistema, il Camerun per il quale schierarsi!
E noi quanto siamo disposti a mettere in discussione noi stessi e le nostre convinzioni?
“Il più grande nemico d'ogni forma d'apprendimento è ciò che già sappiamo. Non possiamo negare ciò che sappiamo, ma possiamo, trasformarne la relazione, spostandoci così verso nuove opportunità e possibilità sino al quel momento sconosciuto”. John Hanley Sr.
Tanto vero quanto difficile perché tutto questo ci obbliga in qualche misura a lasciare indietro una parte di noi, quella che ci ha definito fino a questo momento, quella che ci fa sentire al sicuro e contemporaneamente ci fa a pezzi ogni volta che diciamo - o anche solo pensiamo: “…ma io ho sempre fatto così”.
D’altra parte, solo decidendo di non continuare a vedere quello che abbiamo sempre visto e di fare ciò che abbiamo sempre fatto che qualcosa può cambiare.
Solo attuando questo cambiamento - parafrasando il Professore - saremo anche noi in grado di vedere in quel denaro niente di più che della carta stampata e ci sentiremo liberi di seguire la nostra strada, senza più sentire il peso del giudizio degli altri.
Se ti interessa l’argomento ne ho parlato diffusamente qui, e qui, ma anche qui.
E ora concedetemi di cambiare prospettiva. Voglio lasciarvi con una provocazione: “siamo certi che il Brasile possa fare a meno del supporto e del tifo? Quanto pesa il totale schieramento a favore del Camerun? Quanto conta la meritocrazia per ognuno di noi?”