Come fregarsene del giudizio degli altri

Come fregarsene del giudizio degli altri

Come fregarsene del giudizio degli altri

"Forse è colpa dello stress… Somatizzi le tensioni… Sei troppo giovane per avere questi problemi… Se fossi in te, non mi farei più toccare… Non è che ti piace questa condizione…? Vai a Lourdes… Ancora? Poverina… Se fosse così doloroso come dici, non lavoreresti… Tu sei matta a farti operare ancora…"

Queste sono solo alcune delle frasi che mi sono sentita ripetere per anni e, a dirla tutta, ancora adesso non sempre smettono di farsi sentire. Tranquilli, non sento le voci. Facciamo però un passo indietro.

Nel 2001, a soli 21 anni, iniziai ad avere problemi alla mano destra, dapprima si manifestarono come violenti tendiniti che mi toglievano la possibilità di fare sforzi, per poi arrivare al punto di rendermi impossibile anche afferrare piccoli oggetti, come una penna o una posata.

Frequentavo l’università e ricordo come fosse ieri il momento esatto in cui, durante una lezione, il dolore si manifestò così forte da togliermi la possibilità di scrivere. Dopo una serie di esami, terapie e cure farmacologiche, senza esito, decisero di operarmi per un “banale” dito a scatto, il tutto con la titubanza di chi pensa di avere di fronte una visionaria che sente più dolore del normale. Durante l’intervento si accorsero che, in effetti, la situazione era parecchio degenerata. Dopo solo due settimane dal primo intervento anche il secondo dito della stessa mano iniziò a non funzionare: si bloccava e mi causava dolori violenti. Mi operarono una seconda volta. Passarono altre tre settimane e il polso non mi consentì più di fare sforzi.

Non sto neanche a raccontarvi quanti medici, specialisti, luminari, esami, terapie e “esperti alternativi” incontrai nei successivi due anni… la risposta era chiara: non c’era una spiegazione. Quindi, come spesso accade in questi casi, la sentenza fu immediata: tutta questione di stress! Di sicuro lo stavo somatizzando!

Qualcuno addirittura mi suggerì - come fosse una cosa da nulla - di non utilizzare la mano!

Vi lascio immaginare la tensione, il nervosismo e la frustrazione che ho iniziato a provare ogni volta che sentivo una di quelle frasi che vi ho citato all’inizio di questo articolo! O, peggio ancora, quando coglievo negli occhi delle persone, soprattutto quelle più vicine, una vena di perplessità.

Poi, fortuna mia, incontrai il mio salvatore, il professor Torretta, allora primario della microchirurgia della mano dell’Ospedale Gaetano Pini, che solo visitandomi e ascoltando le mie parole capì in un istante la situazione. Ricordo ancora quello che mi disse: “Se solo ti avessero ascoltato davvero, prestando attenzione alla descrizione puntuale e dettagliata dei tuoi sintomi, non avresti perso tutto questo tempo”.

Sono passati 14 anni da quell’incontro, 8 interventi chirurgici tra la mano destra e la sinistra,  la diagnosi di due patologie (bilaterali) degenerative e conclamate sulle quali non esiste eziologia chiara, tutori di tutte le forme e colori e il fantasma di un nuovo intervento sempre dietro l’angolo.

Eppure io oggi molto spesso me ne dimentico…

Perché me ne dimentico?

Perché se prima mi nascondevo - in certi contesti toglievo i tutori, facevo di tutto per minimizzare la situazione, vergognandomi e sentendomi sempre la “poverina” che non poteva fare sforzi, non totalmente autonoma perché neanche in grado di aprirsi una bottiglia d’acqua - oggi considero le mie mani acciaccate una parte di me da proteggere e di cui prendermi cura, soprattutto in certi momenti. Tutto qui, niente di più.

Ho vissuto per anni nella frustrazione dei giudizi degli altri, delle parole e dei commenti fuori luogo. Le persone mi parlavano con uno strano tono, come se per me farmi operare fosse divertente.

Poi è arrivato lo switch. Ed è arrivato prendendo un po’ le distanze dal problema, quando, dopo l’ultimo intervento di quattro anni fa, ho iniziato a stare meglio e ho avuto modo di osservare quei “famosi” altri da un’altra prospettiva.

E ho capito una cosa: stare nel dolore altrui è difficile, per molti insopportabile.

Spesso nelle parole di chi ci ferisce, pur non rendendosene conto, risiede solo l’incapacità di ascoltare mista al tentativo di contenere le sue paure, le sue preoccupazioni o il suo non sentirsi in grado di supportarti.

Tu cosa avresti voluto sentirti dire?

Hai mai provato a dirtelo da solo guardandoti allo specchio?