Come nasce il fraintendimento?

Come nasce il fraintendimento?

Come nasce il fraintendimento?

A volte ci sono pensieri ed emozioni che non riesci proprio a tirare fuori e che si trasformano in un peso sul cuore. Cala una strana nebbia e le sbarre della tua gabbia immaginaria diventano più inespugnabili di una fortezza.

Altre volte, invece, quello che complica le tue giornate è il costante sforzo di essere compreso, come se fossi imbrigliato in un sistema complesso intriso di malintesi.

Ti scopri a ripetere più volte al giorno: “ma no, quello che intendo è che…”, “scusa, in realtà volevo dire…” oppure ti ritrovi in dialoghi in cui è il tuo interlocutore a ripeterti queste stesse frasi…

Insomma la fatica è costante e pensi o che nessuno capisce nulla o che tu non sei più in grado di comunicare.

Sei ostaggio della giustificazione e chi detiene le chiavi di quella gabbia è un mostruoso aguzzino: il fraintendimento.

Sei ostaggio di fraintendimenti?

Al di là della definizione da dizionario (interpretare in modo diverso dal giusto), ho imparato che il fraintendimento si basa su due elementi che hanno in qualche misura a che vedere con la propria comfort zone.

Due elementi la cui differenza è sottile quanto sostanziale. Il primo è frutto dell’abitudine a fare paradigma di se stessi. Chi tende a fare paradigma di se stesso è solito applicare la propria scala di valori, principi, bisogni, gusti e via dicendo… a tutti quelli che lo circondano arrivando, talvolta, anche al punto di pensare che ciò che per lui è “ovvio”, per esempio pranzare tutte le domeniche con la propria famiglia, lo sia anche per gli altri. E si aspetta che venga accettato e condiviso. Il secondo elemento è legato a un concetto che questa settimana ho proposto come aforisma del lunedì (puoi vederlo pubblicato qui e qui): “fraintendere è la voglia di ritrovare noi stessi nell’altro”. Che cosa significa esattamente?

Significa in primo luogo cercare una polizza assicurativa contro i rischi a quali ci espone, l’altro, il così detto diverso da noi, ciò che non conosciamo. Siccome l’estraneo è un soggetto le cui intenzioni non conosciamo, al massimo possiamo tentare di intuirle, va da sé che la condivisione degli spazi o delle informazioni è una condizione che troviamo difficile e talvolta ci fa paura.

S’innesca così l’infinita danza che ci vede oscillare tra il bisogno di sentirci accettati, e parte di un gruppo, e il bisogno di sicurezza e protezione. Un bisogno che ci porta all’isolamento da ciò che non conosciamo, da ciò che è diverso da noi. Un bisogno che spesso ci spinge a essere in ostaggio del tanto temuto fraintendimento.

Ma non tutti i fraintendimenti vengono per nuocere…

D’altra parte è anche vero che… “Dietro tutte le cose che crediamo di conoscere bene, se ne nascondono altrettante che non conosciamo per niente. La comprensione non è altro che un insieme di fraintendimenti. Questo è il mio piccolo segreto per conoscere il mondo. In questo nostro mondo, «le cose che sappiamo» e «le cose che non sappiamo» sono fatalmente inseparabili come gemelle siamesi, e la loro stessa esistenza è confusione” (Haruki Murakami).