Atleti, aziende, leadership… e Papa Francesco

Torno a parlare di leadership un po’ perché sono insistente e un po’ perché stavolta lo spunto è arrivato, per caso, da un articolo pubblicato sulla Gazzetta dello Sport a inizio gennaio e letto solo qualche giorno fa. Sto parlando di una lunga intervista concessa da Papa Francesco a proposito di sport. Si sa… Papa Francesco è molto diverso dai suoi predecessori e spesso parla di argomenti che prescindono dalla questione religiosa e offrono spunti di riflessione a tutto tondo.

E anche stavolta è stato così:

Nel momento della vittoria di un atleta non si vede quasi mai il suo allenatore: sul podio non sale, la medaglia non la indossa, le telecamere raramente lo inquadrano. Eppure, senza allenatore, non nasce un campione: occorre qualcuno che scommetta su di lui, che ci investa del tempo, che sappia intravedere possibilità che nemmeno lui immaginerebbe. Che sia un po’ visionario, oserei dire. Non basta, però, allenare il fisico: occorre sapere parlare al cuore, motivare, correggere senza umiliare. Più l’atleta è geniale, più è delicato da trattare: il vero allenatore, il vero educatore sa parlare al cuore di chi nasce fuoriclasse. Poi, nel momento della competizione, saprà farsi da parte: accetterà di dipendere dal suo atleta. Tornerà in caso di sconfitta, per metterci la faccia”.

Il mio primo pensiero? “Magari lo capissero certi capi che rovinano le giornate dei miei coachee!”.

La leadership fallimentare

La situazione che abbiamo vissuto nei mesi passati e in cui siamo ancora totalmente immersi ha fatto saltare tutti gli schemi. Se già da tempo in ambito lavorativo avevamo perso certezze e punti di riferimento, adesso una cosa è ancora più certa: la carriera e la crescita professionale non sono solo in mano nostra. Non dipendono solo da quanto ci impegniamo, da quanto investiamo in noi stessi e nelle nostre competenze. Oggi dobbiamo fare i conti con variabili impensabili prima d’ora e che mettono in discussione all’improvviso tutti gli schemi.

Spaventoso direte voi. Vero, non posso che convenire su questo punto, ma è vero anche che proprio perché tutti gli schemi sono saltati che vale la pena fermarsi, riflettere e agire diversamente. Tutti stiamo facendo i conti con due aspetti: il fattore paura e imprevedibilità, e la consapevolezza che non si può vivere solo di emergenza. È giunto il momento di rimettere al centro la relazione con l’altro e di porre l’attenzione sul proprio capitale emotivo. Dobbiamo imparare anzitutto a rispettare noi stessi per vivere felici e lavorare in armonia con i nostri valori. Un passaggio che riguarda il modo in cui decidiamo di far fronte alla giornata. Il modo in cui scegliamo, se scegliamo, che professionista vogliamo essere. Un approccio che riguarda la capacità di fare scelte coraggiose e di accettarne e viverne a pieno le conseguenze. Riguarda la capacità di esercitare il libero arbitrio.

Tra le tante cose che questa pandemia ha messo in evidenza, vi è anche il modello fallimentare di leadership a cui siamo troppo spesso abituati. E attenzione non parlo di politica, quella lasciamola su altri tavoli, bensì di quello che esperiamo ogni giorno nelle nostre aziende e nei nostri team che stanno fronteggiando questa crisi in tutte le sue declinazioni. Così come del resto accade a ognuno di noi nella vita di ogni giorno in cui non sempre siamo disposti a fare un passo in dietro per il bene comune e a metterci a servizio dell’altro.

E in un contesto sempre più costellato di leader tossici e narcisisti disposti a fare a pezzi anche i membri del proprio team, suonano quasi surreali le parole che qualche mese fa ha pronunciato la Prima Ministra neo-zelandese Jacinta Ardern: “Siate forti e siate gentili”.

Il futuro è nelle nostre mani

Se è vero che un vero leader non è un soggetto che da solo guida un gruppo mentre tutti gli altri lo seguono passivamente è vero anche che una buona leadership non può prescindere da tre fattori quali l’intelligenza emotiva, l’ascolto e, non da ultimo, il coraggio di alternare la capacità di stare in seconda linea per far brillare le qualità dei singoli e la necessità di mettersi in prima linea per difendere il proprio team.

Ognuno di noi può contribuire nel suo piccolo, si tratta solo di capire quanto si è disposti a farlo davvero. La pandemia ci sta lasciando questa grande opportunità, sta a noi coglierla.

E tu caro leader stai allenando campioni?