Mulini a vento, città e aziende: quale modello di leadership?

Mulini a vento, città e aziende: quale modello di leadership?

Mulini a vento, città e aziende: quale modello di leadership?

Le città sono diventate discariche di problemi generati a livello globale. Gli abitanti delle città e i rappresentanti da loro eletti si sono ritrovati con un compito per cui non sono affatto all’altezza: quello di trovare soluzioni locali a contraddizioni globali”. Così sentenzia Bauman in “Città di paure. Città di Speranze”.

Se queste sono le città, figuriamoci cosa diventano i luoghi di lavoro”, direte voi e in parte è vero. Ma non è un alibi sufficiente. Non più. Non adesso. Siamo consapevoli di essere gli artefici del nostro destino, delle nostre scelte quotidiane e della prosperità delle nostre aziende, quindi rimbocchiamoci le maniche e capiamo da dove cominciare per rimettere ordine.

Partiamo dall’osservazione del contesto. Sono sempre più gli ambienti di lavoro in cui la “dipendenza da performance” pervade ogni azione e noi cerchiamo di adattarci a quel contesto e lo facciamo con tutto il nostro bagaglio di paure e bisogni che ci caratterizzano. Ancora una volta, la nostra natura di animali sociali e la nostra storia evolutiva ci offrono uno spunto interessante.

Paura o attrazione per ciò che non conosciamo?

Le aziende e le città sono “luoghi in cui gli estranei vivono e agiscono in condizioni di stretta vicinanza reciproca” e siccome l’estraneo è un soggetto le cui intenzioni non conosciamo, semmai possiamo intuirle, va da sé che la condivisione degli spazi o delle informazioni è una condizione che troviamo difficile e talvolta ci fa paura.

Si innesca così l’infinita danza che ci vede oscillare tra il bisogno di sentirci accettati e parte di un gruppo (e quindi della mescolanza come la definisce Bauman) e il bisogno di sicurezza e protezione. Un bisogno che ci porta spesso all’isolamento da ciò che non conosciamo, da ciò che è diverso da noi. Questa danza trova equilibrio nella ricerca del senso di un NOI, in cui si esprime quello che un altro sociologo, Richard Sennett, definisce il “desiderio di essere simili, ovvero il modo che abbiamo noi umani per sfuggire alla necessità di guardarci reciprocamente a fondo”. In sostanza cerchiamo una polizza assicurativa contro i rischi ai quali ci espone l’altro, il diverso da noi, ciò che non conosciamo.

È vero quindi che più ci abituiamo a stare in un contesto uniforme, più ci disabituiamo a convivere con le differenze fino ad arrivare alle estreme conseguenze che danno vita alle fobie sociali nei confronti degli stranieri? Forse. Ma di questo ne parleremo un’altra volta.

Interrompere il circolo vizioso con la leadership

Ci troviamo a questo punto a fronteggiare due minacce: la fobia delle mescolanze e la dopamina da performance, che ci rende sempre più dipendenti dalle distrazioni. Se infatti prima tutto era all’insegna del “di più” e del “più grande”, oggi abbiamo l’aggravante del “più in fretta” e  dell’ “io, più di te”. Poichè tutte le dipendenze, compresa questa, comportano un costo elevatissimo in termini di salute e relazioni... devono essere spezzate.

Se come dice Bauman: “La città è la discarica delle ansie generate dalle incertezze e dall’insicurezza legata alla globalizzazione, ma è al tempo stesso il laboratorio in cui mettere in campo e sperimentare i mezzi per dissiparle”, allora è altrettanto vero che le aziende sono i luoghi in cui si possono e si devono intraprendere le azioni per cambiare i sistemi che ci hanno messo gli uni contro gli altri, facendoci perdere di vista l’obiettivo.

E questo succede laddove non esiste una vision potente e comune che ispiri le persone al punto da avere ogni giorno un motivo per alzarsi e andare a lavorare. Quando un’azienda dichiara che vuole essere il primo brand sul mercato, che vuole fare i prodotti migliori non sta ispirando i suoi dipendenti.

L’umanità prospera da cinquantamila anni non perché siamo motivati a servire noi stessi, ma perché siamo ispirati a servire gli altri”. Questo è il valore del dodicesimo passo (dell’Anonima Alcolisti ndr.) che spezza le dipendenze e ispira. “Tutto ciò di cui abbiamo bisogno sono dei leader che ci diano una buona ragione per dedicarci gli uni agli altri”. (Simon Sinek, Ultimo viene il Leader).

Se oggi se ne parla, se oggi più di tutto sentiamo il bisogno di stare meglio è perché il pericolo lo sentiamo sempre più vicino e sentiamo l’urgenza di metterci al sicuro. Mettersi al sicuro non significa allontanare l’altro o pensare solo al proprio benessere, non basta fare quello che spesso sentiamo dire: mettiti al primo posto.

E soprattutto, che cosa significa realmente mettersi al primo posto quando siamo parte di un gruppo, di un team o di una squadra?

Significa essere leader a prescindere dal ruolo professionale che rivestiamo.

Significa fermarsi, cambiare la prospettiva e chiedersi: cosa posso fare io per primo per difendere il Cerchio della Sicurezza?

IO che cosa sto facendo concretamente per il mio team?

 

 

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