Vuoi essere protagonista o migliore amic*?

Ci sono giorni in cui gli eventi si susseguono in modo del tutto naturale e poi bam all’improvviso (?!?) succede qualcosa per un motivo o per un altro in un istante ti ritrovi a terra. Che sia per via di una delusione, perché hai commesso un errore o ti si è spezzato il cuore, non importa…, l’umore diventa nero o hai la sensazione di perderti in un bicchiere d’acqua o ancora vai su tutte le furie.

Insomma, sei nel pantano. E ti ritrovi lì con tutte le scarpe e con la sensazione che non ci puoi fare nulla. Eppure, una cosa puoi farla, anche in quel preciso istante.

Puoi decidere il ruolo che intendi avere: vuoi scrivere la tua storia o vuoi cedere quel diritto a qualcun altro? Parafrasando una celebre battuta di un film che amo molto: “Vuoi essere protagonista o migliore amica?”.

Scegliere di essere protagonisti implica mettersi in gioco, fare un viaggio attraverso le emozioni, navigarle, attraversarle e capire quello che ci stanno raccontando di quella situazione. Percorso arduo, specie se pensiamo che, per natura, davanti al pericolo siamo programmati per avere due sole reazioni: fuga o attacco.

Peccato che, ancora una volta, la parola chiave di questo automatismo sia reazione che per definizione non è guidata né dalla libertà né dall’autenticità.

Agire o reagire?

Cambiare approccio significa diventare protagonisti, prendere in mano il timone e tracciare la rotta. E per farlo bisogna prima stabilire con precisione in che punto ci si trova, indagare su come si sia giunti lì e decidere dove si vuole arrivare. Tutto questo soprattutto se vogliamo rialzarci dopo una caduta.

Una vera e propria presa di coscienza costituita da quattro momenti chiave: individuare le proprie emozioni, comprendere i fatti che le hanno determinate, capire come queste si siano legate ai propri pensieri e quali comportamenti hanno poi generato.

Oggi vorrei soffermarmi sul primo step: individuare le proprie emozioni. Sembra facile, eppure un gran numero di persone non è in grado di riconoscere le proprie emozioni o i propri sentimenti e si limita a sfogarli invece di guardarli negli occhi. Alcuni reagiscono istintivamente e poi si chiudono in infiniti silenzi. Altri ancora si accorgono di essere in balia di un’emozione solo quando un loro comportamento eccessivo li destabilizza.

Prendere atto delle emozioni

Ciò che impedisce di esplorare a fondo le nostre emozioni è la stessa cosa che impedisce di adottare comportamenti coraggiosi: la paura. Da una parte non amiamo provare emozioni sgradevoli e non sappiamo come affrontare il malessere, dall’altra temiamo anche i giudizi della gente. D’altro canto, le emozioni fanno sentire estremamente insicuri ed esposti e provocano il desiderio istintivo di fuggire. Se a questo aggiungiamo l’impulso naturale a evitare il dolore… ecco che capiamo immediatamente perché sfogarsi, spesso sugli altri, diventi un’abitudine comoda. Il paradosso è che, pur scavando un solco tra noi e gli altri a causa dei nostri sfoghi, dentro di noi, come animali sociali, aneliamo costantemente un contatto umano più profondo con il prossimo.

La statunitense Miriam Greenspma, psicoterapeuta e autrice di “Stare meglio accettando le emozioni negative”, sostiene che:

“…Nonostante la paura, in noi c’è qualcosa che desidera provare quelle energie emotive perché sono il sale della vita. Quando reprimiamo o sottovalutiamo le emozioni ci sentiamo privati di qualcosa. È per questo che guardiamo i film dell’orrore e certi melodrammi televisivi. Cerchiamo l’intensità emotiva per interposta persona, perché quando siamo emotivamente insensibili abbiamo bisogno di una grande quantità di stimoli per provare qualcosa. La pornografia emotiva ci fornisce quegli stimoli, che però creano emozioni artificiali, che non ci insegnano nulla su noi stessi o sul mondo”.

 Brené Brown ne “La forza della fragilità” ci ricorda che “decidere di interrogarsi significa accettare di essere vulnerabili perché obbliga ad arrendersi all’incertezza. La curiosità non è uno strumento da usare solo per acquisire conoscenze, ma anche per ricordarci che siamo vivi. Esiste un nesso profondo, anzi inestricabile, tra la curiosità e il desiderio di vivere pienamente e consapevolmente”.

Conclusioni

Il contrario di sfogare le emozioni è riconoscerle accettarle. Fingere di non soffrire significa restare prigionieri delle emozioni confuse che proviamo, riconoscerle, accettarle viverle significa scegliere la libertà.

Ma come si fa a prendere atto delle emozioni invece di riversarle sugli altri?

Si tratta di autorizzarci a provare le emozioni, indagare su di essa, a prestarvi attenzione ed esercitarsi”.