“Quando gli uomini smettono di dire cose belle, smettono anche di pensarle”. Oggi voglio scomodare Oscar Wilde per parlare di neuroscienze, leadership ed elogi.
Tempo fa in un articolo a proposito di self leadership abbiamo parlato di come, molto spesso, i ricordi migliori legati al lavoro hanno a che fare con momenti in cui siamo stati in prima linea. Momenti in cui abbiamo dato il tutto per tutto per collaborare con gli altri per risolvere una situazione. Oppure per portare a termine un progetto complesso o per rispettare una consegna pressoché impossibile, il tutto a prescindere dal nostro ruolo.
Ma non solo. Diverse ricerche evidenziano che tra i momenti migliori le persone annoverano anche le occasioni in cui hanno ricevuto elogi e complimenti diretti dai propri superiori, immagino che questo dato non vi stupisce.
Bene, sappiate che questo non accade solo perché è “ovvio” che i complimenti ci facciano piacere, ma bensì per via di come funziona il nostro cervello. E le parole di Oscar Wilde, citate all’inizio di questo post, descrivono in modo molto calzante la neuroscienza che sta alla base della strategia “Evidenziare il bene”, teorizzata da Shawn Achor.
Tre errori da evitare quando fai un elogio
Tutto quello che diciamo e facciamo suggerisce al nostro cervello su cosa focalizzarci. Quindi, se perdiamo l’abitudine di cercare intorno a noi cose da elogiare, il nostro cervello non riesce a notare quello che va bene. Ma non è tutto: ciò su cui ci concentriamo suggerisce al nostro cervello cosa ripetere.
Questo spiega perché gli elogi, secondo la strategia di Achor, sono una vera e propria risorsa rinnovabile, un carburante positivo che vede nell’aumento delle performance del team un “effetto collaterale” decisamente vantaggioso per tutti.
Eppure, fare complimenti ed elogiare gli altri non è né facile né scontato. Anzi può scatenare un effetto boomerang molto pericoloso, se si scivola in questi tre frequenti errori:
- Elogiare il risultato invece del processo
- Elogiare facendo paragoni con altri (Cosa intendo? Oggi sei stato il migliore in campo…)
- Elogiare partendo dal mettere in luce le aree di miglioramento
Come reagisce il cervello a un elogio mal comunicato
Questi sono i motivi per cui molto spesso le valutazioni dei manager fanno calare le prestazioni dei lavoratori.
In sessione capita molte volte di sentire storie di coachee che raccontano performance review deprimenti. Non tanto perché di fatto abbiamo ricevuto valutazioni negative, ma per il loro percepito.
Sapete perché questo accade? Perché troppi manager sottolineano come prima cosa i punti di debolezza o le aree di miglioramento delle singole persone invece di evidenziare gli aspetti positivi. E questo dalla prospettiva del cervello dice all’individuo “il capo non è interessato ai tuoi punti di forza, bensì alle tue debolezze”.
Il cervello in men che non si dica si convince che i comportamenti positivi non siano importanti. E, come dicevamo prima, quello che non è importante non viene ripetuto. Questo non significa smettere di parlare delle aree di miglioramento ma di saper scegliere i momenti.
Il neuroscienziato Brent Furl spiega che “quando percepiamo una critica, un rifiuto o una sorta di timore, il nostro corpo produce quantità maggiori di sostanze chimiche a livello cerebrale che inibiscono i centri pensanti del nostro cervello e attivano comportamenti di difesa. Diventiamo quindi più sensibili e siamo pronti a scattare per un niente punto spesso percepiamo un giudizio come più negativo di quanto non lo sia davvero”.
Quindi cari leader, attenzione alle parole che scegliete!