Qual è la competenza che non può mancare ai Millennials?
Sui Millennial abbiamo letto e sentito di tutto, la generazione dei nativi digitali viene spesso osservata e analizzata quasi fosse un nuovo fenomeno naturale che necessita di essere passato ai raggi x per capire come gestirlo. A tratti spaventa, a tratti stupisce, a tratti causa sgomento, a tratti provoca una certa punta di invidia per la velocità e la sfrontatezza con la quale i Millennial affrontano il mondo, soprattutto quello del lavoro.
Quando ho deciso di intraprendere il mio lavoro come coach l’ho fatto con un sogno nel cassetto: aiutare i più giovani a mettere i semi e le basi per lo sviluppo di una vita migliore, laddove con la parola migliore penso a una vita libera da condizionamenti, più autentica e in ultima analisi decisamente più soddisfacente. In realtà pensavo agli adolescenti, poi via via che passava il tempo ho rilevato una costante: sempre più giovani in età compresa tra i 24 e i 32 anni si rivolgono a me in pieno burnout e vivono la frustrazione delle promesse mancate, un tema di cui ho parlato anche qui qualche giorno fa.
Il deterioramento progressivo delle condizioni di lavoro, i carichi di lavoro che aumentano in maniera direttamente proporzionale alla diminuzione delle risorse, le promesse di aumenti che naufragano tra scuse campate in aria, per non parlare delle situazioni limite come nel caso di illeciti accertati, e non puniti, commessi da alcuni protetti, sono solo alcuni degli scenari con i quali ci si ritrova a fare i conti.
Con l’aggravante che ai più giovani si chiede di portare freschezza in contesti vecchi che vogliono tutto fuorché svecchiarsi e ammettere il fallimento del pericoloso “abbiamo sempre fatto così”! E allora ben vengano gli studi, gli approfondimenti e i corsi di formazione sull’importanza dell’utilizzo dell’intelligenza emotiva come strumento di valorizzazione di queste risorse che tra poco meno di un decennio rappresenteranno i tre quarti dell’intera forza lavorativa.
Eppure non basta.
Come far fronte al cambiamento?
In questi percorsi di coaching si lavora molto su assertività, self leadership e gestione del tempo. Ma non è sufficiente.
Tocca prendere consapevolezza che, come dimostrato da J.J. Miller, vicerettore per la ricerca e direttore del Self-care Lab al College of Social Work dell’Università del Kentucky, ci sono competenze professionali e soft skill nuove che è necessario allenare e sviluppare alla stregua di quelle più conosciute, come l’adattabilità, il problem solving o la capacità di lavorare in team.
Parliamo della cura di sé e della responsabilità di sviluppare abitudini che possano favorire un buon work-life balance e che abbiano a che fare con l’apprendimento e la messa in pratica di competenze specifiche come la gestione dello stress, il rilassamento e la riduzione dell’ansia, ma anche lo sviluppo di una maggiore autostima e fiducia in se stessi, la capacità di gestire le paure e al tempo stesso riconoscere le trappole della mente e riuscire a liberarsene prima che ti trasformino in un ostaggio.
Tutte azioni che richiedono uno sforzo e un investimento ma che ci mettono nella condizione di non subire l’onda del cambiamento e allenare la resilienza nel contesto lavorativo.