Come reagire alla delusione delle aspettative lavorative?

Come reagire alla delusione delle aspettative lavorative?

Non ci sono più certezze. Vero.
Là fuori è tutto diverso da come ce l’hanno raccontato. Vero.
Hanno tradito tutte le promesse. Vero.
Per i trentenni e i quarantenni di oggi la vita è molto più incerta. Vero.

E potrei continuare all’infinito, ogni giorno sentiamo storie di vario genere che hanno come denominatore comune la frustrazione legata al lavoro. Vuoi per l’incertezza, vuoi per la mancanza di riconoscimento, vuoi per l’insoddisfazione, vuoi per le relazioni professionali malsane.

Ma che cosa hanno in comune queste storie, oltre al malessere talvolta profondo delle persone che le vivono? Una grossa contraddizione.
Usiamo la parola ‘cambiamento’ per descrivere il mondo là fuori, ma poi pretendiamo di affrontare quel cambiamento con schemi di azione vecchi, vorremmo tutto fosse come prima e ci blocchiamo nella frustrazione derivante dalle aspettative deluse.

In sostanza parliamo di cambiamento ma, di fatto, non agiamo quel cambiamento.

D’altra parte, si tratta di un meccanismo del tutto naturale, abbiamo vissuto con una sorta di schema mentale al centro del quale c’era un ‘percorso predefinito’: diploma/laurea-lavoro fisso-(famiglia)-sacrificio-carriera-pensione, un percorso che faceva perno sul sacrificio e il conseguente riconoscimento dall’alto. E adesso tutto questo è saltato.

Adesso per reagire alla delusione occorre ridefinire lo schema di pensiero e il nostro agire, e possibilmente occorre farlo nel più breve tempo possibile.

Come il coaching ci aiuta a cambiare?

Bene, direte voi, e come si fa? Partiamo da un bagno di realtà, lasciamo da parte tutti i “si stava meglio quando si stava peggio”, ci rimbocchiamo le maniche e ripartiamo dall’opportunità che si cela dietro al problema: quando saltano gli schemi e quando saltano le regole, possiamo riscriverle da capo e possiamo farlo come vogliamo.

E lo facciamo cambiando anzitutto la domanda che per prima da piccoli ha in qualche modo condizionato il nostro rapporto con il mondo del lavoro: “Chi vuoi essere da grande?”, o nella varante più morbida, “Che lavoro vuoi fare da grande?”. Domande di per sé apparentemente innocue ma che per prime da una parte hanno favorito lo schema predittivo di cui parlavo poco fa, che si è rivelato fuorviante, e dall’altra non hanno permesso ai più di sperimentare e conoscersi a fondo, ma di darsi una risposta influenzata dal mondo conosciuto (quello della famiglia o del contesto sociale in cui si era inseriti), dalle aspettative legate allo status, o peggio ancora condizionata dalle famiglie stesse.

Tradotto in un percorso di coaching, azzerare tutto questo significa darsi la chance di ricominciare da chi siamo davvero, dalla conoscenza profonda di noi stessi, di quelli che sono i nostri bisogni, i nostri valori, i nostri talenti e il nostro potenziale inesplorato, così da affrontare il cambiamento e non farsi sovrastare dalla sua inesorabile azione.

Solo attraverso la conoscenza autentica di noi stessi possiamo identificare i nostri veri obiettivi, non quelli socialmente condivisi o riconosciuti, e tracciare un percorso per raggiungerli.

Quindi il punto non è “Che lavoro vuoi fare da grande?”, ma “Che cosa significa per te lavorare?”. E da lì cominciare a vivere il cambiamento.