Come prendersi una pausa senza sensi in colpa?

Come prendersi una pausa senza sensi in colpa?

Come prendersi una pausa senza sensi in colpa?

Ho avuto a lungo un problema: non ero capace di smettere di lavorare o studiare quando ero stanca. Vivevo convinta che fosse “giusto”, anzi normale, smettere di lavorare o studiare, solo quando il lavoro fosse stato ultimato. E portavo questo concetto alle estreme conseguenze: facevo notte davanti a un progetto da consegnare, lavoravo nei weekend e saltavo regolarmente i pasti… il tutto senza neanche rendermene conto.

Ricordo che in certi momenti provavo quasi un senso di godimento nel vedere quanto il mio corpo annullasse i suoi bisogni primari pur di non farmi “perdere tempo”. Ogni cellula di me era concentrata solo sull’obiettivo. Non sentivo null’altro.

La mia mente e il mio corpo erano sempre al limite, non ascoltavo i segnali, “marciavo” - come spesso mi faceva notare mio padre, quando ero una ragazzina. E marciavo senza sosta, senza darmi tregua, verso un obiettivo di performance che stabilivo io e lo facevo per riuscire a tenere tutto setto controllo e alzando, tutte le volte, l’asticella. Conclusione? Arrivavo in fondo sfatta, con le pile totalmente scariche e raramente soddisfatta al centro per cento. Mi ripetevo che, dopotutto: “Avrei potuto fare di meglio, se solo mi fossi impegnata un po’ di più, se solo avessi previsto anche quella variabile…”.

Parlando per archetipi ero senza dubbio Atena al 100 per cento e, cosa peggiore, ne andavo molto fiera. Certo all’epoca non sapevo neanche cosa significasse. Come del resto non conoscevo il termine compassione nei mie confronti. Ero estremamente dura, non mi riconoscevo nessuna attenuante, mai. Giustificavo tutti, ma non me stessa. Concedevo a tutti il beneficio del dubbio, ma non a me. Insomma convivevo con un “Tiranno” che mi rendeva la vita difficile e con quel Tiranno combattevo, ogni giorno.

Dalla lotta all’accoglienza

Il Tiranno mi spingeva a gestire e prevenire ogni rischio. Ecco perché mi convincevo che per non incappare in errori e pericoli avrei dovuto solo ed esclusivamente ascoltare la mia parte più razionale, tenere alta la guardia e a non staccare mai.

In sostanza ero solo concentrata sul controllo e sul prevenire i problemi futuri e mi dimenticavo di vivere e talvolta di respirare. Risultato? Un grande delirio generale, un paio di burn out, camuffati da strani disturbi fisici, e una continua corsa folle.

Perché tutto questo? Me lo sono chiesto a lungo… e di fatto la risposta stava tutta qui: “Siamo il burattino e il burattinaio, vittime delle nostre aspettative”, J.K. Rowling

In altre parole, come sostiene lo psicoterapeuta Giorgio Nardone: “È il futuro più che il passato a creare il nostro presente”.

Le mie azioni erano dettate dai miei infiniti e costanti tentativi di controllare gli eventi: volevo gestire il mio futuro, in anticipo, attraverso le mie azioni quotidiane. E innescavo uno dei meccanismi più potenti di cui noi esseri umani siamo capaci: la “profezia che si auto-avvera”. Quello che noi crediamo/temiamo finisce per realizzarsi grazie alle azioni che mettiamo in atto per prevenirlo, o in senso positivo per realizzarlo, se lo vogliamo fortemente.

Naturalmente non sto dicendo che basti pensare negativo o positivo per avere o non avere problemi e lungi da me banalizzare questi temi, ma una cosa è certa: il desiderio di controllare gli eventi talvolta ci mette in condizione di agire anche in modo irragionevole. Solo quando ho preso coscienza di questa trappola mentale ho iniziato un viaggio dentro di me per smettere di farmi la guerra e imparare ad ascoltare le mie esigenze fisiche e mentali. E ho fatto pace con il concetto di “stanchezza”, l’ho semplicemente accolta, per quella che è: una sensazione soggettiva di mancanza di energie. Una richiesta di riposo. Un segnale del mio corpo e come tale da ascoltare.

Da perfezionista pentita, oggi, faccio i conti con la stanchezza in un modo nuovo. In questa afosa giornata di luglio penso a quei momenti e sorrido teneramente a quella me incapace di darsi tregua.

Rallento, respiro e mi prendo un pomeriggio di riposo.

Certa che il mondo non crolla, il mio business non entra in crisi e non ho motivi per sentirmi in colpa.

Ho imparato che pianificare correttamente significa anche lasciare vuoti per riposare.