Lo so, il verbo accettare dopo oltre due anni da dimenticare non è certo il più in voga… e se c’è qualcosa di cui ne abbiamo senza dubbio fin sopra i capelli è proprio accettare cose, situazioni e/o persone che non ci piacciono.
Eppure, se vuoi migliorare la fiducia in te stess@ e lavorare sul cambiamento tocca partire proprio da questo verbo scomodo.
L’accettazione di sé è qualcosa che implica l’azione, è qualcosa che tecnicamente si fa, senza accettazione non c’è amore per sé stessi e, senza amore per sé stessi, non c’è autostima.
Cosa significa accettazione?
Hai presente tutti i discorsi in cui si dice che il primo passo per essere felici è essere egoisti e mettere sé stessi al primo posso? Ecco, diciamo che si tratta di una estrema banalizzazione del concetto, ma di fatto ha a che fare proprio con l’accettazione di sé. Mi spiego meglio, immagina l’accettazione come fosse una torta a strati, una cheesecake.
Alla base c’è proprio l’atto di auto affermazione pre-razionale e pre-morale che è quello che volgarmente viene definito egoismo naturale. Quell’egoismo naturale che garantisce la sopravvivenza e senza il quale ci negheremmo il diritto di esistere. E senza quella base la nostra cheesecake crollerebbe. Anzi, proprio non esisterebbe.
Al centro la torta è composta dalla crema frutto di più ingredienti. L’accettazione di sé in questo senso implica la nostra disponibilità a toccare con mano e prendere atto che siamo fatti in un certo modo: ovvero che pensiamo quello che pensiamo, sentiamo quello che sentiamo, desideriamo quello che desideriamo, abbiamo fatto quello che abbiamo fatto, e siamo quello che siamo.
Come vedete in questa parte non c’è il giudizio. Non c’è la valutazione di giusto o sbagliato è una semplice fotografia del nostro sentire e del nostro vedere. È ben più che riconoscere o ammettere, è contemplare ciò che abbiamo di fronte. È un vero e proprio esercizio di auto empatia che ci porta a mettere a fuoco che quello che stiamo vedendo, sentendo o provando è una espressione di noi. Magari non ci piace o non è ammirevole, ma comunque è espressione di noi, almeno in quel preciso istante. Ripeto senza giudizio.
D’altra parte, per gustare al meglio la torta metti in bocca bocconi composti da tutti gli strati, non assaggi solo i singoli ingredienti…
Qual è il paradosso dell’accettazione?
Ma veniamo allo strato più alto. Il top della nostra cheesecake è composto dalla compassione che nel suo significato etimologico implica il “sentire con…” il soggetto coinvolto, quindi in questo caso noi stessi. Lo so questa è la parte più complicata e al contempo quella più dolce. Complicata da mettere in pratica e dolce per le conseguenze in grado di generare.
Supponiamo che tu abbia fatto qualcosa di cui ti sei pentit@, o ti vergogni. L’accettazione non nega la realtà, non afferma in alcun modo che la cosa sbagliata sia giusta, ma ti permette di indagare e analizzare il contesto in cui si è verificata, per poi evitare che si ripeta e dunque darti gli strumenti affinché si inneschi un cambiamento sul futuro.
Spesso questa è la fase in cui si innesca la resistenza. Questo avviene perché nel sentire comune capire fa rima con giustificare o in qualche modo riconoscere le attenuanti.
In realtà, quello che ti sto dicendo è l’esatto contrario. È necessario che si tocchi con mano la sensazione del paradosso della comprensione se vuoi creare un cambiamento vero e profondo.
L’accettazione ci spinge, infatti, a capire come mai una cosa sbagliata, o in appropriata, nel momento in cui ho agito mi era sembrata desiderabile, appropriata e magari persino necessaria.
Posso condannare un’azione compiuta da me, e tuttavia avere un interesse compassionevole per i motivi che l’hanno sollecitata. E quello stesso interesse mi permetterà di trasformare l’accettazione nella forza utile al cambiamento e mi aiuterà a tenere lontano alibi e scuse.
La sfida è troppo grande? Scrivici e possiamo lavorare insieme e affrontare questo nodo attraverso un percorso di coaching.