Perché temiamo il giudizio degli altri?

Perché temiamo il giudizio degli altri?

Perché temiamo il giudizio degli altri?

Tornare sui banchi di scuola o “sulle scrivanie degli uffici” spesso equivale a ricominciare a fare i conti con le paure di sempre. Una fra tutte quella del giudizio degli altri. La bestia nera che toglie serenità e con la quale fare i conti non è mai piacevole.

Una bestia che possiamo affrontare e trasformare in docile agnellino solo attraverso un percorso di consapevolezza, che non prevede lotta e accanimento ma ascolto e accoglienza. Innanzitutto dobbiamo imparare a riconoscerla e a capire perché la temiamo così tanto.

Ti è capitato di voler dire qualcosa davanti agli altri e poi accorgerti che ti stai trattenendo per evitare di fare una brutta figura?

O semplicemente per la paura delle loro risposte o dei loro feedback negativi?

Quando vuoi pubblicare qualcosa sui tuoi canali social ci pensi e ci ripensi infinite volte?

Se è così, sappi che questi sono alcuni piccoli segnali da non sottovalutare.

Chiariamo subito che questa paura è strettamente connessa alla nostra natura di animali sociali. Come tali tra i bisogni primari abbiamo quello di appartenenza che si porta dietro la costante ricerca di accettazione da parte dell’ambiente in cui viviamo.

Detto questo, però, non possiamo permettere a questa paura atavica di condizionare le nostre vite. Quindi, cambiamo immediatamente la prospettiva e anziché focalizzarci sui comportamenti altrui e sui “giudizi” che possono esprimere, cerchiamo di capire quali nostri comportamenti, atteggiamenti o modi di essere alimentano tale paura.

- Primo fra tutti la scarsa autostima. Ebbene sì, se il tuo umore o le tue scelte di vita dipendono dalle reazioni e dalle valutazioni altrui alla base di tutto c’è sempre lei la nostra cara amica autostima e non intesa semplicemente come la stima che ho di me, ma bensì come suggerisce Nathaniel Branden, ne I sei pilastri dell’autostima, come il fidarsi delle proprie capacità di pensare e di superare le sfide della vita unitamente alla consapevolezza di meritare felicità e successo, così come di avere diritto di affermare le nostre necessità e i nostri desideri.

- Il vivere interpretando un ruolo: capita più spesso di quel che vogliamo ammettere.

- L’incapacità di gestire i feedback negativi. Spesso ci focalizziamo sul “giudizio” che attribuiamo all’osservazione che ci muovono e perdiamo di vista l’occasione di crescita e miglioramento che ci viene offerta. Certo non parliamo delle critiche gratuite e distruttive, nutrite da invidia e cattiveria, di quelle parleremo un’altra volta, ma di tutte quelle situazioni in cui potremmo invece fare tesoro della nostra debolezza, per trasformarla in un’area dal grande margine di miglioramento.

- Il perfezionismo. Mi spiace amici, è dura, lo capisco, mi ci sono scontrata tantissime volte in passato, e ancora oggi ogni tanto ci casco, ma non siamo macchine perfette, non possiamo controllare tutto e non basta dirselo a parole, occorre prenderne atto. Se fossimo perfetti, non ci sarebbe evoluzione, non ci sarebbe cambiamento, il che già per definizione è chimicamente impossibile.

- Il sentirsi una vittima, figlio dell’ancor più temibile egocentrismo che spinge a prendere tutto sul personale, anzi come un torto personale. Il mondo non gira intorno a noi, quindi prima di pensare che un’azione o un gesto di una persona siano necessariamente la conseguenza di approvazione o disapprovazione nei nostri confronti, sarebbe meglio pensare che semplicemente quel gesto sia legato a fattori strettamente personali. Quindi a quel messaggio la tal persona non ha risposto non per farti un dispetto o perché ce l’ha con te, ma semplicemente perché era impegnata o non stava bene.

- Il voler piacere a tutti. Anche qui, impossibile e soprattutto sai che noia? Se vivi in funzione dei gusti, dei desideri, delle necessità altrui, che ne sarà dei tuoi di desideri, sogni o bisogni?

- La presunzione o l’orgoglio, alias il non sapere chiedere. Nessuno può leggere nella nostra mente e non possiamo permetterci di arrabbiarci od offenderci quando gli altri non colgono i nostri bisogni.

 

Ti lascio con qualche domanda e qualche spunto per riflettere:

Che cosa significa per te sbagliare?

Tu in cosa ti giudichi?

Quali sono i feedback che sopporti meno? (In quali aree: lavoro? Famiglia? Relazioni? Amicizie? Figli?)

Quanto ti influenza il giudizio degli altri?

Quando è stata l’ultima volta che hai scelto qualcosa o hai preso una decisione in maniera totalmente libera?

 

 

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